"Andare più veloce e vincere, per un ciclista professionista sono due lati della stessa medaglia". Così scrive l’ex cronoman irlandese Michael Hutchinson nel libro "Faster: The Obsession, Science and Luck Behind the World's Fastest Cyclists". Ma per molti, sorprendentemente, il desiderio di andare più veloce può essere più molto più attraente di vincere. Perché quando le gambe girano il risultato arriva da solo. Anche se non è sempre e solo una questione di gambe ma più semplicemente di riuscire a fare bene tutto quello che si deve fare. E il difficile è proprio questo: fare sempre tutto bene.
L'allenamento, infatti, è solo una parte nell’incredibile puzzle che è la vita di un pro, dove i pezzi da incastrare e far funzionare sono più di uno: l'analisi dei dati, l'alimentazione, la psicologia (in cui rientra tutta la sfera motivazionale ed empatica del corridore) i rapporti personali col team e la gestione di infortuni o battute d’arresto improvvise che possono cambiare rapidamente i piani (e l’umore) dell'atleta, ripercuotendosi sul suo quotidiano. È facile intuire quindi, come ogni ciclista professionista debba anche gareggiare con se stesso. Tutti i giorni. Una sfida che, a volte, può metterli davvero a dura prova. Proprio come è successo a Fausto Masnada, professionista della Soudal Quick-Step al rientro alle gare dopo due anni fisicamente e mentalmente complicati ma che gli hanno regalato un insegnamento utile per tutta la vita. Ascoltare e ascoltarsi.
Quel naturale desiderio di non mollare
Nel giugno 2023, dopo diversi mesi di sofferenze legate ad un'infiammazione nella zona del soprasella, sfociata ad agosto del 2022 e seguita da altrettanti tentativi di tenere duro e risolvere il problema, Fausto è costretto a fermarsi per intervenire chirurgicamente e asportare la massa che nel frattempo si era ingrandita a tal punto da non poter svolgere un semplice allenamento senza percepire dolore. Questo stop, che lo tiene fuori dalle competizioni per quattro settimane, è solo l'ultimo di un periodo difficile cominciato con una mononucleosi che lo aveva debilitato l’anno precedente.
Per un altro corridore poteva finire qui. Ma non per Masnada, la cui determinazione e forza mentale impressionanti lo hanno aiutato a rialzarsi dichiarando da subito di voler tornare al più presto competitivo e recuperare la sua forma ottimale, che per il bergamasco vuol dire quella del 2° posto al Giro di Lombardia 2021 dopo una fuga incredibile con il neo campione del mondo su strada Tadej Pogačar.
Hai ripreso a gareggiare dopo un periodo complicato. Innanzitutto, come stai?
Dopo l’operazione mi sentivo molto meglio ed ero riuscito a terminare il 2023 con buone sensazioni nelle gare di fine stagione, performando a livelli importanti ma con la consapevolezza di aver accelerato le tempistiche di guarigione per cercare a tutti i costi uno stato di forma fisica idoneo per competere ai massimi livelli. Avevo perso diversi mesi durante l’arco della stagione, quindi decisi di non fermarmi nel periodo invernale. Questa scelta, probabilmente, è stata uno dei tanti motivi per il quale, nel marzo successivo, ho avuto un nuovo problema fisico legato al sistema immunitario e dal quale sono uscito da poco.
Che cosa è successo nello specifico?
Nel periodo primaverile, dato lo scarso rendimento non conforme ai valori che normalmente riesco ad esprimere, sono andato in Belgio, con l’aiuto della squadra, per svolgere dei test più approfonditi e capire qual’era il problema e quale fosse la causa di questo malessere fisico generale che mi provocava stanchezza continua e l’impossibilità di sostenere carichi di lavoro basilari. Il risultato dei test fu che l’unico modo per guarire da questa fase degenerativa del mio corpo, fosse una nuova fase di riposo totale. Non è stato facile, ma sono contento perché da quando ho ripreso ad allenarmi a metà luglio in modo molto graduale, tra allenamenti e gare, il fisico ha retto il carico di lavoro degli ultimi due mesi; a tal punto che sono stato selezionato per disputare le corse italiane. Spero che questo bel segnale coincida con un mio nuovo inizio.
Qual è stato il tuo mindset negli ultimi due anni?
Ho sempre avuto il focus sul mio miglioramento sportivo stagione dopo stagione, e questo pensiero non mi ha mai abbandonato; specie negli ultimi due anni. Da atleta, uno stop forzato è sempre difficile da digerire. Inizialmente si attraversa una fase di frustrazione, poi ci si pone degli obiettivi a breve termine per cercare di uscirne il prima possibile.
Col tempo ho capito che non esistono pillole magiche. L’unica via è il riposo e l’accettare con serenità il periodo di stop. Sono stato a casa e ho fatto altro, quello che di solito non ho tempo di fare quando gareggio, cercando di togliermi dalla mente quella sensazione del “non essere mai contenti fino in fondo”.
Cosa ti ha insegnato quest’esperienza?
Che devo ascoltare di più il mio corpo e non avere fretta di rientrare da una bronchite o un’operazione. Capire bene come sto prima di riprendere la mia passione che è anche il mio lavoro. Quando si comincia a parlare di “overtraining” e “stanchezza mentale”, bisogna avere quel pizzico di lucidità necessaria per fermarsi e recuperare le energie.
Quando e come ti sei accorto che qualcosa non stava andando come volevi?
Noi professionisti siamo sempre in contatto col medico della squadra, quindi nel momento in cui mi sono accorto che avevo un calo del 10-15% dei miei valori, pensavamo si trattasse di una situazione temporale dovuta al post bronchite e alla rimozione di un denta, che poteva essere anch’essa essere causa del mio status. Poco dopo aver smaltito questi due problemi sono andato in altura per preparare gli appuntamenti più importanti della mia prima parte di stagione, nonostante percepissi di non aver ancora recuperato al meglio. Ho tenuto duro fino a metà maggio ma di giorno in giorno peggioravo e non ero più in grado di sostenere un semplice allenamento di 2 ore.
Come ha reagito la squadra?
Si sono accorti che non stavo bene e che non ero in linea coi miei valori. Così sono andato in Belgio, come dicevo prima, a fare dei test specifici sulle risposte ormonali agli stimoli allenanti. Abbiamo scoperto che ero in una fase di “overtraining” derivata non solo dai carichi allenanti ma da più fattori che combinati tra loro mi hanno messo KO.
Qual è il tuo punto di forza?
Sono un professionista che cerca di fare bene il suo lavoro ogni giorno. Riconosco di avere la costanza di allenarmi e saper reagire nei momenti difficili. In ogni stagione disputata fino ad ora ho sempre portato a termine quello che iniziavo. E forse è anche per questa troppa dedizione che non ho capito subito i segnali che il corpo mi stava dando.
Quella che hai appena descritto è una situazione comune anche tra gli amatori evoluti.
Noi professionisti abbiamo obiettivi diversi rispetto agli amatori ma per certi versi ragioniamo allo stesso modo. Perché l’impegno e la costanza che mettiamo negli allenamenti è la stessa. E io rispetto molto chi fa tanti sacrifici per ritagliarsi del tempo per l’allenamento. L’importante è che venga vissuto col giusto equilibrio.
Germania, Canada Lussemburgo, Italia. Da agosto ti sei allenato e hai gareggiato con una certa continuità. Stanchezza a parte, quali sono state le tue sensazioni in questo periodo breve ma intenso?
Abbastanza buone. Ho ricominciato ad allenarmi a metà luglio e sono rientrato alle competizioni a fine agosto al Deutschland Tour, successivamente il Grand Prix Cycliste de Québec e Montréal e dopo qualche giorno ero in griglia al Tour de Luxembourg. Dopodiché sono tornato in Italia per la parte finale di stagione: Piccolo Giro dell’Emilia, Coppa Bernocchi e Tre Valli Varesine, quest’ultima annullata dopo 60 km a causa del maltempo. Diciamo che quando riprendi dopo un lungo stop dove fisicamente non sei stato bene, si fa fatica, molta fatica, nell’avere subito una condizione che ti permetta di essere competitivo in corsa. Adesso mi sento sempre meglio, stiamo rispettando tutti i programmi e riesco a svolgere e sostenere le tabelle e i relativi carichi di lavoro. Ogni gara è una prova del nove dove hai il riscontro effettivo di quello che stai facendo e di come lo stai facendo.
Siamo a poche ore dal Giro di Lombardia che per un bergamasco come te è la gara di casa. Con che spirito ti prepari ad affrontarlo?
Nonostante sia la gara clou di fine stagione, il Giro di Lombardia rimane sempre tra le mie corse preferite. Parto sempre super motivato e quei 250 km volano in un attimo. Lì dentro c’è tutto: l’adrenalina, l’emozione di correre sulle strade dove mi sono allenato per anni e di passare vicino casa mia, e la motivazione grandissima di rendere orgogliosi tifosi e amici che sono lì per me. Ottenere un buon risultato sarà difficile, ma devo e voglio fare bene. La partenza da Bergamo è un qualcosa di molto speciale per me, perché sono uno dei pochi bergamaschi in attività che si trova alla partenza di una corsa importante come questa. Se mi guardo indietro vedo un Fausto ragazzino tra centinaia di giovanissimi che avevano il sogno di farcela. E oggi io sono uno di quei pochi che è riuscito ad arrivare ai massimi livelli.
Sfogliando l’album dei tuoi ricordi, nel 2021 andasti in fuga con Pogačar fino all'arrivo proprio del Giro di Lombardia. Alla luce anche di una stagione pazzesca dello sloveno, tu che lo conosci bene, quanto pensi abbia alzato l'asticella del ciclismo in questi tre anni?
Per molte persone le prestazioni di Pogačar sembrano impossibili, ma era già un talento quando fece 3° alla Vuelta con qualche chilo in più e in un team che non era ancora attrezzato come ora. Rispetto a tre anni fa, quando al Lombardia scollinammo sul Passo di Ganda, è cresciuto tantissimo. Quest'anno Tadej gioca un altro sport. Ha migliorato preparazione e alimentazione ed è sempre stato attento a tutto, un aspetto che lo ha fatto crescere anche a livello di performance. Ma è cresciuta anche la squadra, sotto tutti i punti di vista: dalle biciclette, crono e strada, ai body. Ora anche gli altri team pian piano stanno riuscendo a fare quello che UAE ha iniziato già qualche anno fa.
Più ammirazione o “invidia”?
Nessuna delle due, direi più consapevolezza. Ogni tanto nasce un nuovo campione come lui che stravolge quello che si conosceva fino a quel momento. Nel nostro ambiente, però, ci sono molti professionisti che sono curiosi di capire come poter arrivare a limare un gap evidente. Altri, invece, che lo considerano un caso isolato. Io faccio parte di coloro che vogliono capire quali sono i parametri su cui lavorare per migliorare, consapevole che non potrò comunque mai raggiungere il suo livello di performance visto il talento innato. Per me è importante prendere come riferimento i migliori, per capire e imparare da loro.
Da Pogačar ad Evenepoel: che rapporto hai con Remco?
È un altro talento con cui ho avuto la possibilità di lavorare a stretto contatto per tre anni, ma è anche un ragazzo genuino con una forte personalità sportiva. Di recente siamo usciti in bici insieme per alcune ricognizioni e nonostante qualche screzio a livello caratteriale mi trovo molto bene a trascorrere le ore in sella con lui. Quando si pone un obiettivo difficilmente sbaglia nonostante le tante pressioni mediatiche da gestire oltre che allo sforzo fisico quotidiano dato dall’allenamento e dalla lunga lontananza da casa per ritiri e ricognizioni in vista degli appuntamenti più importanti della stagione. Remco è un campione nato che sta sacrificando veramente tutto per realizzare ogni suo sogno.
Secondo te il ciclismo è cresciuto negli ultimi? E se si come?
Complessivamente la crescita c’è stata, soprattutto in paesi dove prima non era conosciuto. Adesso abbiamo corridori danesi, norvegesi, dell’eritrea, una multiculturalità che dal 2000 al 2015 non era così presente all’interno del gruppo. Oggi è un World Tour più globale, con un volume maggiore di paesi rappresentati e di conseguenza un calo numerico e di risultati per quanto riguarda noi corridori italiani. E poi sono arrivate nuove metodologie di allenamento e di gestione del vivaio giovanile.
A proposito di giovani, com’è il loro approccio a questo ciclismo?
Oggi, per esempio, gli juniores hanno già il preparatore, i carichi di lavoro sono diversi e tutto è rapportato in questo senso. Prima non era così. Nel complesso vedo una maggiore attenzione sui giovani e sul loro percorso. Un esempio è il nostro vivaio o quello del team Jumbo-Visma, squadre nella quale i ragazzi crescono con i nostri stessi mezzi e le nostre metodologie di allenamento, strutturate ovviamente per le gare che dovranno affrontare. In generale, però, è sempre una questione di equilibrio. Perché se un ragazzo di 20 anni va forte ma da cinque anni si allena a livelli troppo intensi, magari fa un anno bene e poi non sarà più in grado di performare. In futuro, sicuramente, la carriera di un ciclista professionista avrà una durata molto più breve rispetto al passato.
Sei in scadenza di contratto con la famiglia della Soudal Quick-Step. Come vedi il tuo futuro?
Famiglia è il termine giusto. Mi sono trovato veramente veramente bene in questi anni. Uno staff incredibile e super affiatato, con una gran voglia di lavorare e aiutare i corridori specialmente quando le cose non vanno bene. Persone perfette sotto ogni aspetto. A loro va il mio grande grazie. Patrick è il pilastro di questo gruppo, perché è stato capace di creare un team coeso con una voglia costante di migliorare. E poi ci sono i compagni di squadra. Io ne ho cambiati tanti e non sempre è facile legare con tutti, ma ognuno di loro mi ha lasciato qualcosa. Essere un ciclista professionista è un bel lavoro e bisogna essere bravi a goderselo. L’unica cosa che mi dispiace è che i problemi fisici degli ultimi due anni non mi hanno permesso di essere performante, ma devo ringraziare tutti per l’enorme vicinanza che mi hanno dimostrato. Anche se le strade si divideranno avrò sempre un bellissimo ricordo.
Tra meno di un mese compirai 31 anni, che per un professionista coincide con l'inizio di una seconda carriera sportiva. Hai più sogni o più obiettivi?
Solo obiettivi, perché grazie al ciclismo ho realizzato i tre sogni che avevo: fare il professionista, vincere una tappa al Giro d’Italia e correre il Giro di Lombardia. Ora sono concentrato sul tornare presto al massimo della forma, andare in una nuova squadra e costruire qualcosa di nuovo per scrivere una pagina diversa della mia vita. Se ci riuscirò bene, altrimenti inizierò a prendere in considerazione cosa fare nel mio futuro post carriera. Quello che non cambierà mai è la voglia di continuare a crescere e lavorare per tornare ad essere quello del 2° posto al Giro di Lombardia. E questo è già un obiettivo. I risultati verranno da sé.